Attualmente, le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di carburante superano i 30 miliardi di tonnellate metriche all’anno, ed è previsto un ulteriore aumento di quasi il triplo entro il 2100. È stato stimato che, se non saranno introdotti nuovi vincoli, l’aumento della temperatura previsto per la fine del secolo sarà di 4 gradi Celsius rispetto all’epoca pre-industriale, mentre gli accordi di Parigi del 2015 avevano posto l’obiettivo di un massimo di 2 gradi.
La Commissione europea ha perciò delineato una serie di misure volte a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 (“Fit for 55”). La più controversa di queste misure è la Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), una tassa sulle importazioni da quei paesi che non sono soggetti ai rigidissimi obiettivi climatici dell’UE. Con l’introduzione della cosiddetta carbon border tax non sarà più possibile avvalersi di un fornitore extra-UE più inquinante senza incorrere in un sovrapprezzo: in questo modo si intende tutelare la produzione interna dalla concorrenza sleale da parte di prodotti meno cari ma creati senza altrettanta attenzione all’ambiente. Si cerca inoltre di evitare il carbon leakage, ossia il pericolo che le operazioni inquinanti vengano semplicemente dislocate fuori dall’Europa.
Ma quando entrerà effettivamente in vigore il CBAM? Si tratta di un meccanismo che verrà introdotto gradualmente, prevedendo un periodo iniziale di monitoraggio. Dal 2026, la misura fiscale inizierà ad essere applicata alla frontiera, ma solo per alcuni settori, quali ferro, acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti e energia elettrica, ossia i prodotti maggiormente scambiati a livello internazionale. Gli obiettivi dell’UE sono chiari: fissando un prezzo del carbonio per le importazioni di determinati prodotti, non solo si vuole garantire la competitività delle aziende europee, ma si cerca anche di contribuire al calo delle emissioni a livello globale.
Ovviamente non sono mancate diverse perplessità sugli effetti di questa manovra, cominciando dai dubbi sull’effettiva riduzione della quantità di CO2 scaricata nell’atmosfera (una stima di - 0,2% a livello globale), per poi passare ai molteplici problemi logistici di attuazione. Senza contare la maggiore dipendenza dai carburanti fossili dell’industria pesante rispetto ad altri settori, come quello energetico, che hanno già iniziato la transizione verso la riduzione delle emissioni. Inoltre, sebbene l’UE affermi di essere in linea con le regole del commercio internazionale, sono immediatamente arrivate critiche da parte dei paesi importatori. Russia, Cina e Turchia, vale a dire i principali fornitori dell’UE, temono le pesanti ripercussioni del CBAM sulle loro esportazioni, e questo non farà che aggravare le tensioni commerciali già esistenti.
Nonostante tutte queste incognite, comunque, una carbon border tax è necessaria: senza fare nulla, sarà impossibile raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero di carbonio entro il 2050. La soluzione ideale sarebbe quella di concordare un prezzo minimo globale per il carbonio che incentivasse la riduzione delle emissioni in tutto il mondo. Citando il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans, “se ogni nazione osservasse gli impegni [presi negli accordi] di Parigi, questa tassa non verrebbe mai applicata”.
L’attenzione e il rispetto verso le tematiche ambientali sono sempre stati tra i valori perseguiti dalla Fonderia Morini, che nel prossimo futuro conta di incrementare ancora di più il suo approccio green investendo ulteriormente in energie rinnovabili.
Fonti:
https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2021/08/30/arrivo-nuova-carbon-tax-frontiere-ue
https://esgnews.it/environmental/carbon-tax-cose-come-funziona-e-come-si-calcola/